Piazza Umberto I
Piazza Umberto I, conosciuta nella tradizione popolare come Piazza Montevergine, dall’omonima chiesa fondata alla metà del Trecento in fondo alla piazza, è delimitata da alcuni dei maggiori edifici cittadini. Infatti, su di essa si affacciano il Palazzo Vescovile, la chiesa di S. Maria di Montevergine, l’ex Seminario e il palazzo della banca popolare. La piazza si presenta in forma rettangolare ed il suo aspetto attuale è dovuto soprattutto ad interventi di miglioramento eseguiti nel XVIII secolo per volere del vescovo Alfonso Maria de’ Liguori (1762-1775). Per ampliare l’accesso al Palazzo Vescovile, fatto erigere presumibilmente alla fine del X secolo, e al Seminario furono demolite un gruppo di case e botteghe di artigiani poste al centro di essa e furono chiusi dei vicoli. La costruzione del Seminario sul lato est ebbe inizio nella seconda metà del Cinquecento e fu compiuta con non pochi problemi, sia per la scarsità delle rendite sia per la carenza di locali. Nel XVII secolo l’opera si ingrandì con le rendite derivanti dalla soppressione dei conventi di Montevergine e della Vergine del Carmine di Durazzano da parte di Papa Innocenzo X. La situazione economica migliorò nel 1700 grazie ad un progetto di risanamento dell’allora vescovo Filippo Albini (1699-1722) e successivamente i locali furono ulteriormente sistemati da monsignor Alfonso de’ Liguori con l’aiuto del sovrano di Napoli. I lavori furono infatti, eseguiti dai due Regi Architetti Pietro e Salvatore Cimafonte. Nel 1818 dopo un’assenza di venti anni della figura del vescovo da S. Agata, mons. Magliola rifece costruire la chiesa che fu riaperta al pubblico e ripristinare l’utilizzo di alcune sale del seminario.
A ovest della piazza nel periodo di completamento urbanistico del centro storico, avvenuto tra la seconda metà del ‘700 e la prima metà dell’‘800, fu realizzato il complesso architettonico che ospitava la banca popolare, istituita formalmente nel 1875 con la denominazione di banca popolare mutua di prestiti e risparmi. L’edificio sobrio ed elegante mostra un bugnato sui prospetti e una scala aperta napoletana collega i tre livelli utili. Il piano nobile costituito da ampie stanze comunicanti affaccia sulla piazza Umberto I.
Nel 1926 la Banca Popolare incaricò l’ing. Gaetano Gaetani, già progettista dell’area di “Risanamento di Napoli”, della realizzazione della sala adunanza del Consiglio di Amministrazione nel giardino pertinenziale dell’immobile principale. La nuova struttura fu costruita dall’impresa di Pietro Cioffi senior tra il 1926 ed il 1927. Di puro stile “Liberty”, la sala fu decorata con bassorilievi e stucchi dallo scultore Pasquale Cioffi. Successivamente, nel 1929, nel salone di riunione della Banca si trasferì il “Cinema Dopolavoro Clino Ricci” allocato nel Castello Ducale. Negli anni trenta del XX secolo la banca falliva, nel 1943 il cinema fu rilevato dalla famiglia de Silva assumendo la nuova intestazione di “Cinema Italia”; il cinematografo ha funzionato fino a tutto il 1984. Nel 1988 la struttura è stata acquisita al patrimonio comunale ed attualmente hanno sede gli uffici anagrafici del comune. Nel 2000 sono stati eseguiti lavori di recupero strutturale dell’immobile e interventi di restauro della sala “ex Cinema”.
Oggi al centro della piazza si erge il monumento a Sant’Alfonso, opera voluta dal vescovo De Nardis, scolpita nel 1923 dallo scultore romano Cesare Aureli ed eretta da maestranze locali. La statua poggia su un alto piedistallo prismatico, e sul davanti un’incisione in latino ricorda che il monumento fu eretto con denaro raccolto dappertutto. Sui due lati lunghi della piazza si trovano il Circolo Sociale per artisti e professionisti fondato nel 1880, oggi denominato Circolo Sociale e Centro Culturale “Saticula”, e sulla destra la Società Operaia di Mutuo Soccorso con finalità ricreative e assistenziali fondata nel 1882; il simbolo dell’associazione composto da due mani incrociate è accompagnato dal motto: Morale, Lavoro, Risparmio.
Antonio Maria Tannoia, Della vita ed istituto del venerabile Servo di Dio Alfonso Maria Liguori, v. 3, cap. 35, I Edizione IntraText